Autore: CENSIS
Titolo: Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2016
Editore: Franco Angeli (Mi)
Chi è l'Autore. Censis (Centro Studi Investimenti Sociali) è un istituto privato di ricerca sociale, attivo dal 1967, che pubblica assiduamente molte ricerche su varie problematiche di notevole rilevanza sociale. Il suo "prodotto" più noto è il rapporto annuale, giunto quest'anno al numero 50. Scopo di tale rapporto, assai denso e corposo, è quello di orientare sia i cittadini sia, soprattutto, le istituzioni, a compiere gli investimenti maggiormente utili all'intera società. Quindi il Censis costituisce una sorta di vedetta che, scrutando attentamente l'orizzonte, indica i segnali da seguire per giungere con soddisfazione alla meta del ben-essere condiviso.
Tesi del Rapporto 2016: l'Italia continua a vivere di rendita e, quindi, a erodere il tesoretto accumulato negli anni passati. In questo modo non costruisce futuro e si accartoccia su se stessa in un misto di autocommiserazione e autocompiacimento. A pagarne le conseguenze maggiori, già ora, sono soprattutto le generazioni al di sotto dei quarant'anni, il cui tragitto verso l'ascesa sociale è sempre più ostacolato da nuovi e vecchi impedimenti.
Sintesi del Rapporto Censis 2016. L'Italia rentier (che vive di rendita) non investe sul futuro. Le aspettative degli italiani continuano a essere negative o piatte. Il 61,4% è convinto che il proprio reddito non aumenterà nei prossimi anni; il 57% ritiene che i figli e i nipoti non vivranno meglio di loro (e lo pensa anche il 60,2% dei benestanti, impauriti dal downsizing generazionale atteso). Il 63,7% crede che, dopo anni di consumi contratti e accumulo di nuovo risparmio cautelativo, l'esito inevitabile sarà una riduzione del tenore di vita. Fare investimenti di lungo periodo è una opzione per una quota di persone (il 22,1%) molto inferiore a quella di chi vuole potenziare i propri risparmi (il 56,7%) e tagliare ancora le spese ordinarie per la casa e l'alimentazione (il 51,7%). Rispetto al 2007, dall'inizio della crisi gli italiani hanno accumulato liquidità aggiuntiva per 114,3 miliardi di euro, un valore superiore al Pil di un Paese intero come l'Ungheria. La liquidità totale di cui dispongono in contanti o depositi non vincolati (818,4 miliardi di euro al secondo trimestre del 2016) è pari al valore di una economia che si collocherebbe al quinto posto nella graduatoria del Pil dei Paesi Ue post-Brexit, dopo la Germania, la Francia, la stessa Italia e la Spagna. Con una incidenza degli investimenti sul Pil pari al 16,6% nel 2015, l'Italia si colloca non solo a grande distanza dalla media europea (19,5%), da Francia (21,5%),
Capitolo giovani. Sono evidenti gli esiti di un inedito e perverso gioco intertemporale di trasferimento di risorse che ha letteralmente messo ko economicamente i millennial. Rispetto alla media della popolazione, oggi le famiglie dei giovani con meno di 35 anni hanno un reddito più basso del 15,1% e una ricchezza inferiore del 41,1%. Nel confronto con venticinque anni fa, i giovani di oggi hanno un reddito del 26,5% più basso di quello dei loro coetanei di allora, mentre per gli over 65 anni è invece aumentato del 24,3%. La ricchezza degli attuali millennial è inferiore del 4,3% rispetto a quella dei loro coetanei del 1991, mentre per gli italiani nell'insieme il valore attuale è maggiore del 32,3% rispetto ad allora e per gli anziani è maggiore addirittura dell'84,7%. Il divario tra i giovani e il resto degli italiani si è ampliato nel corso del tempo, perché venticinque anni fa i redditi dei giovani erano superiori alla media della popolazione del 5,9% (mentre oggi sono inferiori del 15,1%) e la ricchezza era inferiore alla media solo del 18,5% (mentre oggi lo è del 41,1%).
Eppur... si muove. La potenza dell'export delle filiere produttive globalizzate. L'Italia resta al 10° posto nella graduatoria mondiale degli esportatori con una quota di mercato del 2,8%. Nel 2015 il nostro Paese ha superato il 5% dell'export mondiale in ben 28 categorie di attività economica, tra cui alcune produzioni del made in Italy come i materiali da costruzione in terracotta (19,8%), i prodotti da forno e i farinacei (12,8%), le produzioni in cuoio (12,3%), le pietre tagliate (10%). Il saldo commerciale del made in Italy è stato di 98,6 miliardi di euro: più del manifatturiero nell'insieme (93,6 miliardi) e dell'export di merci complessivo (45,1 miliardi). È un settore in forte e costante crescita sui mercati internazionali grazie all'applicazione del paradigma del «bello e ben fatto», sia nelle produzioni fortemente «brandizzate» (l'alimentare, la moda, il design), sia in quelle dove il brand aziendale conta meno, ma che nel tempo hanno conquistato il segno distintivo di qualità e affidabilità (la meccanica di precisione). L'export dell'industria alimentare ha segnato variazioni percentuali più che doppie rispetto all'export complessivo: +83,9% in termini nominali nell'ultimo decennio rispetto al +37,5%.
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